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Anton Kodrari: Un percorso spirituale nel ciclo iconografico di Lin Delija
E premte, 03.04.2020, 03:38 PM
UNA PINACOTECA SPIRITUALE NEL CUORE DELL’ARTE CONTEMPORANEA
(Un percorso spirituale nel ciclo
iconografico di Lin Delija)
Di Anton
Kodrari
L’oggetto materiale
di questa breve riflessione è la coesione armonica, sul piano dell’ontologia
della fede, tra un’esistenza profondamente cristiana e la sua continua
manifestazione nella storia dell’arte della vita, in quanto essenza
inalienabile dell’unicum vocazionale di Lin Delija: il sacerdozio
battesimale e l’attività artistica.
Questo unicum ontologico,
impregnato profondamente ‘ad olio’ sulla tavola della vita
dall’antropologia del suo Paese, dalla fede cristiana secondo le sfumature
della religiosità albanese e dalle vicende storiche del suo pellegrinaggio
terreno, è tenuto unito dal filo rosso della fede - speranza - carità.
L’eco vibrante di
come i suoi antenati avevano preservato la fede durante il tempo dell’invasione
Ottomana sulle montagne rocciose di Dushman (luogo montuoso al nord di
Scutari); la condivisione del pane e della preghiera con i
martiri frati francescani
durante la sua permanenza
nel loro convento a Scutari; l’instaurazione del
regime totalitario comunista con le sue atroci conseguenze sia sul piano
religioso (soppressione delle chiese e dei luoghi di culto; la
carcerazione, internamento e l’eccidio dei sacerdoti e dei laici cattolici) che
sul piano sociale (l’estrema povertà materiale, culturale, politiche repressive
contrastanti ai valori umani); l’esilio
verso la terra promessa, e tante altre esperienze avvenute nella sua
nuova patria Italia, scandiscono il percorso artistico di Lin secondo l’adagio dello scultore Arturo Martini,
“Senza Cristo l’arte è solo un vuoto esercizio di forma”, detto con la
teologia di san Buonaventura: è il Cristo la via a
tutte le scienze.
Il sudetto principio diventa testimonianza viva dell’incontro fra l’artista e
il Cristo Risorto per il mondo moderno e, contemporaneamente voce di speranza
per il popolo albanese da parte di colui che attraverso la sua arte nutrita nel
deserto spirituale del modernismo, vuol fare conoscere alla politica
internazionale il calvario dell’Albania.
Certamente con
Cristo protagonista della sua arte, riesce a dare un contribuito per la
conservazione dell’identità cattolica del popolo albanese e alla fine riesce a
portare a termine la sua missione correlativa della sua vocazione battesimale.
A motivo di questo continuo sentimento religioso
alimentato continuamente con la preghiera personale e la meditazione della
Parola di Dio, 60 anni fa, Tamburi afferma: “l’istanza mistica della sua ispirazione la si
trova in ogni elemento della composizione”, a questa enunciazione, Fossani
aggiunge: “Lin Delija non è solo fra i migliori pittori viventi, ma certamente
il più profondo conoscitore dell’arte sacra contemporane”.
‘L’istanza mistica’, di Lin non è la visione del
‘Serafino alato in forma di Crocifisso’ di san Francesco, o ‘le
apparizioni della Maddona’, ma semplicemente una sua esperienza diretta del sacro,
che lo possono fare tutti coloro che si lasciano guidare dallo Spirto di Dio,
risultato del suo colloquio intimo con Dio e dell’unione del suo passato con
«l’oggi» conosciuto in Italia.
Questa sua esperienza spirituale diventa fonte
d’ispirazione artistica che nella stesura del progetto pittorico viene
presentata con una carica di spiritualità -e a mio parere- strettamente
francescana per tre motivi:
a) fa perno sulla umanità di Cristo in cui predilige il
tema della sofferenza immortalandola
-con una frequenza maggiore rispetto alle altre opere- nella maggior
parte dei casi con la scena della crocifissione e altre volte con dipinti
sull’imprigionamento dei sacerdoti ma anche rappresentando le donne a mani
giunte in preghiera, vestite con i tradizionali abiti a lutto albanesi: il kotull
(vestito lungo a pieghe nere) e il velo nero sul capo chiuso sotto il mento con
il nodo dei pescatori.
Spicca in queste pitture il nero per mettere in evidenza
la sofferenza, il pianto, il martirio, il dolore interiore, consapevole che il
nero è un colore privo
di luce e che nella storia dell’arte rappresenta la morte, al quale
associa sempre un pizzico di bianco che -seppur in piccola dose- esalta
la sua funzione di luce in mezzo agli altri colori, richiamando la speranza e
la fede del credente nella vita in Dio dopo la morte.
In realtà quel tocco di bianco rasserenante che emerge anche in tante altre
opere assume un ruolo ermeneutico non solo sul piano della tecnica pittorica,
ma anche, e in modo particolare, su quello della fede; aiuta gli appassionati
d’arte a immergersi nei sentimenti dell’autore e a comprendere oggettivamente
il quadro. Ma allo stesso tempo l’osservatore credente, in cammino verso
un orizzonte distaccato dal materialismo del tempo, si sentirà trascendere. È
probabile che usando questa gradazione cromatica sinonimo della luce, l’artista
voglia comunicare all’uomo e al mondo moderno che la sua esistenza può
prendere senso e realizzarsi solo se è proiettata verso la luce e cerca di
liberarsi da una terrestrità e un materialismo che tante volte pesano nei corpi
e portano alla morte spirituale.
b) Apprezza il creato in quanto opera di Dio e simultaneamente accoglie il
mondo moderno con tutte le sue trasformazioni sociali, spirituali, ecconomiche,
tecnologiche, industriali, politiche quale dono di Dio, quale frutto del suo
amore.
Nel contesto del
mondo moderno i soggetti preferiti sono i nudi, i paesaggi, le scene di vita
quotidiana e i paesini, i qualli non vengono riprodotti fedelmente come sono in
realtà, perchè non è l’intento dell’artista, ma attraverso l’azione cromatica e
l'incisività del segno, cerca di esprimere storie umane, tensioni, stati
d’animo e sentimenti attirando l’attenzione della gente a riflettere sul dono
del creato e del mondo, richiamandoli ad apprezarli come dono gratuito di Dio e
non come qualcosa fatto dalle mani dell’uomo.
Ad esempio, nella rapresentaizione del lago di Scutari
c’è tanto colore ma poco disegno che nemmeno un scutarino potrebbe
riconoscerlo, così come il corpo della Maddalena, che a prima vista risulta
irriconoscibile, rimanda ad una donna della cinematografia americana, ma nella
complessività dell’opera, si rivela quale è: la prima testimone della
risurrezione.
Infatti nel quadro del lago di Scutari non è di primaria
importanza cogliere il soggetto rapresentato, quanto la complessivita del dipinto,
cioè gli orizzonti, le nuance del cielo, le onde del lago, l’intreccio del
celeste con il bianco, il caos dei colori, spesso regolate solamente
dall’ordine interiore dell’artista, che esplode in un’unica liturgia simbolica
che porta ad andare oltre all’immagine in sè.
Da questo si evince che l’espressionismo di Lin è un moto che
va dall'interno verso l'esterno della persona, perchè vuol far esternare la
persona dal proprio egoismo per lanciarlo verso l’Alto e l’altro, sottolineando
il lato emotivo della realtà
e non semplicemente quello percepibile oggettivamente, creando le disposizioni
concrete dello sguardo dell’uomo per gustare davvero la bellezza
oggettiva del creato e del mondo che lo circonda come dono della generosità
infinita di Dio.
c) Lin, conduce una vita austera secondo i criteri del
pauperismo mendicante ‘a misura d’uomo’, a tal punto – come affermano i suoi
amici - da preparare con le proprie mani la materia prima delle sue pitture e
tante volte affidandosi alla carità dei suoi amici antrodocani che gli
portavano i pasti, gli compravano i vestiti, e continuamente condividevano con
lui le gioie familiari.
Appunto, affidandosi alla loro bontà e alla bontà di
tanti altri amici albanesi della diaspora - segno della provvidenza di Dio
nella sua vita - non incorre mai nel rischio di commerciare le sue opere,
preferendo donarle. In questo modo, esse raggiungono tutto il mondo,
dall’Italia agli USA (in collezioni private di compaesani albanesi e amici e
conoscenti italiani). Infine la sua vita riceve il sigillo di una morte da uomo
materialmente povero, senza una lira in tasca, ma ricco spiritualmente, tanto
da morire con addosso il solo saio del poverello d’Assisi.
Ana Maria
dell’Agata, compagna di viaggio di Lin, una delle persone che lo conosceva
meglio sia da un punto di vista privato che artistico, riguardo alla sua indole
francescana, testimonia che “era francescanamente un cantante pittore della
vita”, e sta proprio qui, l’essenza, la peculiarità pittorica di Lin, con la quale
irrompe nella storia dell’arte contemporanea.
Infatti, in questa fase storica della civiltà umana,
abbiamo l’uomo che è ricurvo su se stesso, un egoismo esagerato che
prende il sopravvento nelle relazioni umane costringendo l’uomo a diventare
schiavo del proprio ‘io’ e a sostituirsi a ‘Dio’, inoltre ci troviamo
davanti ad una società che sta cambiando molto e in fretta a causa delle nuove
tecnologie dove l’estetica dell’anima e l’organicità dei pensieri e sentimenti
sono soffocati dalla paura, dallo stress e dai ritmi della vita sempre
più frenetici.
Come conseguenza di tutto ciò, tante volte ci troviamo
davanti ad una persona umana ridotta al minimo della sua umanità, una persona
che ha tutto ma non ha la felicità, una persona che si chiude in sé e diventa
un’isola staccata dalle relazioni immanenti che risiedono nel suo profondo e da quelle trascendenti
che esistono al di là della realtà percepita dallo stesso.
Lo stesso fenomeno di cambiamento e di adattamento al
mondo moderno avviene anche nell’arte, nella quale non esiste più, - o meglio
dire, in misura ridotta - la dimensione del trascendentale, dell’eterno che
viene ad inabitàre
l’uomo, della luce che illumina il buio, della verità assoluta, dei valori
inalienabili della vita e così via... Ormai l’arte contemporanea per certi versi consiste semplicemente
nell’esasperazione della individualità, nella esaltazione degli aspetti
peggiori della quotidianità, dove la bellezza che viene propagandata è
illusoria e mendace, superficiale e abbagliante fino allo stordimento, e come
dice Bendedetto XVI: “invece di far uscire gli uomini da sé e aprirli a
orizzonti di vera libertà attirandoli verso l’alto, li imprigiona, in se stessi
e li rende ancor più schiavi, privi di speranza e di gioia”.
In questo contesto sociale e artistico si inserisce
l’arte sacra di Lin, il quale visto la situazione del mondo, modella la sua
arte “secondo l’indole e le condizioni dei popoli, e le esigenze dei vari riti,
ammetendo le forme artistiche del epoca”e si capisce allora che, oltre
ad essere un figlio di san Francesco è anche figlio del suo tempo, cercando di
riconcilliare queste due appartenze ontologiche in una produzione artistica che
vuole a trasmettere qualcosa di
sostanzioso all’ammiratore della sua arte. La sua arte potrebbe assomigliare ad
un bella omelia carica di
episodi evangelici proclamata dal pulpito di un santuario in cui si
annuncia l’importanza dei valori umani e cristiani, ‘il buono’ e ‘il bene’
nella società umana, perchè anche lui come Dostojevskij è convinto, che il
bello e il buono sono due aspetti fondamentali dell’amore che possono salvare
il mondo.
Lin, nella sua arte non vede semplicemente un pensiero
del momento che viene trasmesso attraverso alcune figure e secondo delle forme,
ma un compito ben preciso: il compito che deve avere l’arte sacra, la pittura,
l’architettura la musica… trascendere l’uomo dalla realtà sensibile e portarlo
ad un piano superiore di conoscenza interiore, di contemplazione, riassumendo
si può affermare che l’espressione artistica per lui ha un fine pratico: far
sucistare nell’uomo un cambiamento interiore, rendere migliore l’uomo, il
mondo, il ‘tutto’.
L’istanza mistica che c’è nella sua arte vuole provocare
il cuore dell’uomo del XX secolo, perché l’arte sacra non può e non deve
rimanere semplicemente conoscenza, ma deve necessariamente diventare affetto,
amore per Dio, per se stesso, per il prossimo e per il creato.
Come si può rimanere indefferenti quando si è davanti
alle sette ultime parole di Gesù! Vedere l’inclinazione della testa di Gesù da
due angolature diverse, piegata verso il basso (l’umanità) e verso l’alto (il
Padre) oppure i suoi occhi perforanti
che scrutano l'inconscio dell’uomo che, sicuramente, tocca l’intimità della
persona, la qualle -a sua volta- non si ferma semplicemente nel conoscere che Cristo è morto “per
noi”, ma va oltre, diventa affetto, diventa amore ricevuto per donare.
Questa sua caratteristica di aprire e allargare gli
orizzonti della coscienza e dell’intimità umana, può spingere ogni uomo che
guarda i suoi quadri ad affacciarsi sull'abisso dell'infinito dove si puo
contemplare il mistero ultimo dell’uomo, Dio Creatore.
Questa peculiarità oltre che nelle opere religiose si
nota anche nelle opere apparentemente
profane come le ‘nozze scutarine’ e nella ‘danza albanese’. In effetti
la prima è la riproduzione quasi fedele dell’originale dipinto nel 1824 da un
altro grande pittore scutarino, Kolë Idromeno, in esso viene rappresentato il
rito del matrimonio di una ragazza cattolica scutarina che lascia la casa dei genitori e si incammina verso
la chiesa dove diventerà ‘un’anima e un corpo solo’ con lo sposo. Nella
danza albanese invece si ha un valore altamente estetico della cultura
albanese, perché manifesta gioia, armonia, movimenti lineari nei quali i
personaggi del sud e del nord del Paese (cattolici e mussulmani), danzano in
una coreografia che attraverso i salti -in comunione tra di loro- verso l’alto
dà la sensazione di un voler volare verso orizzonti sconosciuti dalla razionalità
umana.
Nella danza albanese, i suddetti elementi, possono
alludere al desiderio dell’artista di trascendersi fuori dal cosmo e dalle capacità razionali dell'uomo
ma senza mai annientare la materia come parte costitutiva dell’uomo.
In ultima istanza si
evince che l’arte di Lin infine è anche un itinerario di catechesi.
Il ciclo pittorico a
tematica strettamente religiosa raffigurante le stazioni della via crucis,
le, ultime sette parole di Gesù in
croce, il momento dell’annunciazione alla Vergine, l’ascensione del Signore al cielo e le varie
rappresentazioni della Madre di Dio sono la sintesi di tutto l’itinerario della
salvezza cristiana che abbraccia tutto il mistero a partire dall’incarnazione
fino al mistero Pasquale della risurrezione: ‘gioia, sofferenza, gloria’, che
riflette anche il percorso della sua vita terrena.
Una volta uno dei
suoi migliori amici d’infanzia e di ‘esilio’ dall’Albania, padre Ambroz
Martini, mi disse: Lin è un sacerdote mancato della nostra provincia. Ha
evangelizzato molto di più lui con le sue opere che noi con le nostre prediche.
È rimasto sempre una quercia di Dushman (con le radici nella roccia) che
nemmeno le valanghe, le inondazioni e le tempeste di questo secolo infuriato
possono sradicare.
L’integrità della
sua vita e la sua coerente manifestazione nell’attività artistica che fanno
della persona di Lin, una pinacoteca spirituale nel cuore dell’arte
contemporanea, poichè nella pinacoteca non ci sono solo dipinti su tela, su tavola, o su altro
supporto, ma c’è anche tutta l’anima dell’artista, l’unità psico-somatica
dell’artista che dipingendo prega.